La Cassazione civile ( sentenza sez.
III , 17/02/2020 , n. 3888) ha affrontato il tema della qualificazione
giuridica di un contratto in termini di locazione di immobile piuttosto che di
affitto di azienda.
Il caso sottoposto all’attenzione
della Corte riguardava una società avente in gestione le strutture costituenti
un centro commerciale, stipulante un contratto di affitto di ramo di
azienda, in relazione al quale, con ricorso ex
art. 447 bis c.p.c., conveniva in giudizio la controparte
contraente, sostenendo che il suddetto contratto fosse scaduto e che, per
l’effetto, la medesima venisse condannata a rilasciare il ramo di azienda come
definito dal contratto, con le rispettive attrezzature e pertinenze;
La controparte si costituiva in
giudizio, chiedendo il rigetto della domanda, la dichiarazione di nullità e/o
inefficacia e/o inopponibilità del contratto ex adverso invocato e comunque la
sussistenza di un rapporto di locazione commerciale.
La Corte ha stabilito che il giudice,
nel valutare se un contratto debba essere qualificato
come locazione di immobile od affitto di azienda (o di un ramo di
essa), deve, in primo luogo, verificare se i beni oggetto di tale contratto
fossero già organizzati in forma di azienda; in caso di esito positivo
dell’indagine, egli è tenuto, quindi, ad accertare se le parti abbiano inteso
trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato o semplicemente
quello di un immobile, al cui utilizzo risultino strumentali gli altri beni e
servizi eventualmente ceduti, restando poi libero l’avente causa di costituire
“ex novo” un’azienda propria.
Nel caso di specie, la Suprema Corte
ha cassato con rinvio la decisione della corte di appello, la quale, poiché
l’immobile oggetto del contratto era situato in un centro commerciale,
aveva erroneamente ritenuto l’avvenuta cessione di un’organizzazione aziendale,
senza verificare se il cedente avesse in precedenza impresso ai beni
interessati dall’accordo una tale organizzazione e valorizzando, invece, il
trasferimento in godimento, assieme al locale, di elementi, quali un massetto,
un registratore ed un gabinetto, di per sé insufficienti a costituire
un’azienda.
Autore:
Avv. Daniele Enrico Paci oppure postato da Lsc Lex
Azione
di inefficacia ex art. 44 Legge fallimentare: sentenza di fallimento produttiva
di effetti a partire dall’ora “zero” e legittimazione passiva
Un Fallimento proponeva ricorso ex
art. 702 bis c.p.c., avente ad oggetto
l’accertamento della inefficacia – ai sensi della L.
Fall., art. 44 – nei confronti
della massa dei creditori, dei pagamenti eseguiti dalla società con addebito
sui propri conti bancari lo stesso giorno in cui era stata dichiarata
fallita, a favore di una Srl.
Il Fallimento chiedeva altresì la
condanna della banca alla restituzione della complessiva somma corrispondente ai pagamenti inefficaci.
Il Tribunale di Torino, con
ordinanza ex
art. 702 ter c.p.c., rigettava la domanda
del Fallimento avendo fornito prova la banca, attraverso la certificazione
della CCIAA, che i pagamenti erano stati
eseguiti in orari anteriori a quello in cui la sentenza dichiarativa di
fallimento era stata annotata nel registro delle imprese, con efficacia
verso i terzi, ai sensi della L.
Fall., art. 16, comma 2 e
art. 17, comma
2, come sostituiti dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n.
5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n.
169.
La Corte d’appello di Torino, con
sentenza, in totale riforma della decisione di prime cure:
– dichiarava inefficaci i pagamenti,
applicando il principio giurisprudenziale per cui gli effetti della sentenza
dichiarativa di fallimento venivano a prodursi, tanto per le parti quanto per
l’opponibilità ai terzi, alla ora “0” dello stesso giorno di
deposito della sentenza, interpretazione fornita dalla Corte di legittimità
in assenza di espressa disposizione legislativa che attribuisse rilevanza anche
all’ora – oltre che alla data – di pubblicazione della sentenza dichiarativa di
fallimento, ai sensi dell’art.
133 c.p.c., ovvero all’ora della iscrizione
della stessa nel registro delle imprese, ai sensi della L.
Fall., art. 17, comma 2 e non
sussistendo valide ragioni per diversificare il trattamento delle due ipotesi.
La Suprema Corte di Cassazione, con
la recentissima sentenza n. 7477 del 20/03/2020, ha statuito che non
vi è ragione di discostarsi dal principio di diritto secondo cui, in mancanza
della prescrizione legale, tra gli elementi di individuazione della data della
sentenza dichiarativa di fallimento, anche dell’annotazione della ora in cui la
decisione è stata emessa, l’efficacia della sentenza inizia dalla prima
ora di quel medesimo giorno (ora zero) e, pertanto, il fallito resta
privo dell’amministrazione e della disponibilità dei beni e debbono ritenersi
inefficaci gli atti dallo stesso compiuti e i pagamenti a lui effettuati, dal
suddetto inizio di quella giornata, indipendentemente dall’ora in cui tali atti
siano stati eseguiti.
Prosegue la Corte, “In tema azione di
inefficacia ex articolo 44 Legge fallimentare per pagamenti effettuati dal
fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, se i pagamenti sono
avvenuti tramite bonifico bancario, l’azione dichiarativa dell’inefficacia deve
essere rivolta nei riguardi del terzo creditore-accipiens quale unico
legittimato passivo, in quanto diretta a privare l’atto giuridico di pagamento
dell’effetto estintivo del debito”.
La banca -delegata (alla quale il fallito ha
dato ordine di bonifico) rimane estranea al rapporto obbligatorio tra il
fallito e il terzo creditore e non è quindi destinataria né dell’azione di
inefficacia, né dell’azione di condanna alla restituzione.
Autore:
Avv. Daniele Enrico Paci oppure postato da Lsc Lex